Critica: GIORGIO RIGOTTO 

Guardo e cerco di non ascoltare la conversazione, ma qualcosa devo pur rispondere. Cerco l’isolamento interiore per ascoltare quello che i quadri sussurrano alla mia anima. So che poi non sarà più così. Ascolto come fosse la prima frase d’amore, mi avvicino ai volti sperando nella rivelazione di un segreto, ai corpi confidando in una carezza.

Non so come faccia il piccolo soggiorno a contenere tanta esplosione di significati e come non si aprano, da sole, le finestre per far conoscere ai cieli li fuori tanto fulgore.

Ma li vicino c’è Guardami. Guardami perchè posso essere tua, perchè sono imprendibile, perchè so ricevere. O guardami soltanto come forma d’amore. Guardami non vedermi soltanto, ma penetrami con tutta la forza che puoi della tua anima e dei tuoi pensieri come atomi instancabili.

Nel congedo ho detto ad Antonietta, tenendole tutte due le mani: “Vedi, ormai noi non siamo più insidiati dalla giovinezza ma mi ero fatta l’idea, visionando qualche giorno fa i quadri da un dischetto, che tu fossi tremendamente giovane. Ero nel giusto. Ho conosciuto un artista che non invecchierà mai perchè è giovanissima nell’anima.”

Critico: GIORGIO RIGOTTO 
Vicenza, novembre 2009

Critica: FEDERCRITICI 

Attenta osservatrice della realtà sociale, l’artista coglie aspetti dei comportamenti umani su cui generalmente l’abitudine dello sguardo non si sofferma. La seduzione di uno sguardo rivela l’aspetto inconscio presente in ogni forma di attrazione, così come l’istinto ludico dei bambini rappresenta uno schema di sopravvivenza che ci solleva dall’ansia, dalla frustrazione e dal senso dell’impotenza. L’analisi dell’artista è sostenuta da una notevole capacità di rappresentare per immagini l’esplorazione dei sentimenti umani. Nessun segno è banale e privo di significato e il colore rosso testimonia metaforicamente la presenza invisibile, ma indispensabile, della consapevolezza razionale in grado di andare oltre le apparenze, fino a giungere a una vera comprensione e compassione per l’animo umano.

Critico: FEDERCRITICI 
in “MUSEI” n.7 di Vicenza, marzo 2010

“Il Capoluogo”

Senza fiato lascia il dipinto di Antonietta Meneghini “Il Gioco”, dove da uno sfondo cupo dove a sopravvivere sono solo cumuli di macerie, si fa avanti un bimbo, unica speranza di vita, con la sua palla rossa.

Critico: SERENA CIAMPA 
“Il Capoluogo” L’Aquila, giugno 2010

Catalogo SINESTESIE L’Aquila

“IL GIOCO”: edifici fatiscenti, scheletri architettonici di una città colpita da un evento drammatico e irrimediabile, si stagliano verticalmente ai due lati del quadro, creando una fuga prospettica che mostra a distanza solo macerie e un incolmabile vuoto, accentuato dall’uso di colori puri come il bianco e il nero. Unico segno consapevole di vita, che emerge a spezzare le livide atmosfere della tragedia, un bimbo dal maglioncino rosso che gioca in primo piano con una palla rossa anch’essa. Si allontana da tutte quelle macerie e corre incontro allo spettatore, come simbolo di forza individuale e al contempo di rinascita collettiva, espressione del futuro, solo nella pianificazione del quale si può vincere temporaneamente la morte.

Critico: CRISTINA AGLIETTI 
Catalogo SINESTESIE L’Aquila, giugno 2010

Critica: MARTA BREUNING

Non è facile rappresentare i moti dell’anima. Leonardo lo ha fatto con sapienza dipingendo nelle pose e nei volti delle sue dame un vero e proprio vocabolario di espressioni in cui si possono leggere stadi diversi di consapevolezza di sé, di comprensione della realtà, di conoscenza delle verità nascoste. L’anima è una identità psichica soggetta alla metamorfosi attivata dalla percezione delle sensazioni, alle quali l’essere umano, e la donna in particolare, desidera offrire dei significati, oppure delle motivazioni valide per il tempo presente. La ricerca di Antonietta si muove sulla stessa lunghezza psicologica dei grandi artisti del rinascimento e diventa, con il passare del tempo, sempre più concreta, profonda e abile nel decodificare stadi si passaggio esistenziale o di trasformazione critica delle emozioni in comprensione razionale dei rapporti umani. In ogni sguardo delle sue bellissime donne si intravede il segno dell’autocoscienza femminile capace di indagare il mondo dei sentimenti e di sperimentare, per quanto possibile nella attuale società che assimila la donna a oggetto estetico, l’autodeterminazione, spesso interpretata dagli uomini come velleitaria aggressività. Non è priva di sostanza concettuale l’immagine del corpo femminile privo di volto che emerge da un sfondo rosso, a sottolineare il potere inconscio della donna di trasmettere l’Eros da cui potrebbe avere origine, secondo la mitologia, il desiderio di conoscere non solo l’anima delle donne (le ninfe), ma anche la loro mente intuitiva (le dee dell’Olimpo).

É in questo duplice aspetto di affermazione della coscienza femminile (il volto frontale) o di negazione dell’identità più profonda (il volto che non si vede, oppure nascosto dai capelli), che l’artista vuole comunicare il gioco di luce e di ombre che la coscienza dell’osservatore può instaurare con i molteplici aspetti della mente femminile. I pensieri delle donne, rappresentati da volti che non sorridono, ma da sguardi che sembrano andare oltre l’oggettiva superficie delle cose, non si soffermano più all’interno, come raffigurato nel Rinascimento dallo sguardo introspettivo della Vergine Maria, ma accarezzano sogni, speranze e desideri in cui è possibile intravedere la millenaria ricerca dell’anima di amore, felicità e conoscenza.

Critico: MARTA BREUNING 
in “EIKON” n.10 Vicenza, ottobre 2010

“Una luce negli occhi”

I corpi sinuosi ed eleganti di alcune figure femminili si alternano agli sguardi rapiti, concentrati in lontani pensieri. I colori sono lievi, morbidi e trasparenti anche nel momento in cui si rapprendono nei più decisi bianchi e neri. Il disegno è curato, le proporzioni sono interpretate con gusto ed attenzione. Nella pittura di Antonietta Meneghini c’è dunque un rapporto diretto con i canoni della rappresentazione riconoscibile, con l’approfondimento razionale della forma umana nello spazio, con il giusto dosaggio delle luci e delle ombre che avvolgono le protagoniste. Il senso dell’armonia e dello studio anatomico si uniscono mirabilmente nello stile di un’autrice che ama il disegno nelle variabili compositive più “classiche”. L’intensità del soggetto nelle sembianze estetiche sembra essere il punto di approfondimento, apparentemente il filo conduttore di un percorso coerente sul tema della bellezza. Poi nella graduale lettura dell’immagine raccolgo l’espressione dei volti, spesso malinconica, che nell’ombra chiaroscurale si adombra di lievi inquetitudini. Ed è nella magia di quell’attimo che l’autrice rivela la sua poetica: oltre la parvenza esteriore si coglie infatti un’analisi puntuale sull’universo femminile, uno scavo psicologico portato in profondità sino a cogliere i lati più oscuri della donna contemporanea. La ricerca procede, quindi, verso la trattazione realista della donna e insieme avvolge ogni soggetto di una materia impalpabile e sognante: si ha l’impressione che in ogni carattere sia dato respiro al silenzio della riflessione. E’ quindi un mondo emotivamente coinvolgente quello proposto, fatto di piccoli gesti, di transiti fuggevoli, di atmosfere pacate colte nel lieve scarto di un sussulto.

Anche tecnicamente Antonietta Meneghini si affida ad una espressione contemplativa: il segno si modifica nella struttura per farsi sciolto, meno convenzionale, più personale. Il gesto consapevole fa muovere il profilo della figura in modo da cogliere l’empito di un’emozione, l’improvviso trasalimento nel volto o nella posa raccolta; affiorano di conseguenza leggerezza e morbidezza quando appare soprattutto lo sguardo fuggevole, la timidezza ed il riserbo nell’esprimere la propria interiorità. Il contenuto diventa chiaro, la pittrice riscopre la bellezza e l’intensità delle emozioni più pure, va oltre l’involucro del visibile e rivela l’essenza, la trasfigurazione spirituale dell’animo. Antonietta Meneghini coglie la luce nascosta nel profondo delle sue protagoniste, quel bagliore che unisce i vari tasselli dell’anima.

Critico: GABRIELLA NIERO 
Vicenza, dicembre 2010